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La Romagna che non abbandona i campi

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Intervista a cura di Gavino Cau, Corriere Romagna

La preoccupazione è tangibile tra gli agricoltori, ma anche la voglia di non arrendersi. «Cia Romagna – spiega il vice presidente Matteo Pagliarani – già da 37 anni svolge questa iniziativa dell’Annata agricola per cercare di sensibilizzare gli andamenti del nostro settore. L’alluvione e una gelata tardiva nel reparto frutticolo hanno compromesso la stragrande parte della produzione e non solo, visto che quello era un periodo molto importante per i frutti e per le olive perchè si era nella fase della fioritura. Poi è arrivata la siccità durata tutta l’estate e anche il vento ha fatto gravi danni. Non è il 2023 l’anno atipico, si tratta di diverse stagioni nelle quali gli ortofrutticoltori romagnoli subiscono schiaffi, vuoi per le gelate, vuoi per la cimice asiatica, vuoi per l’alluvione. Un insieme di caratteristiche che hanno determinato una decrescita, anche perché il prezzo riconosciuto all’agricoltore non copre tutto il lavoro che la produzione richiede. L’aumento di costo per il consumatore è dovuto a speculazioni che non toccano i produttori. Un’altra conseguenza è che l’alluvione ha portato a un aumento delle risorse per quel che riguarda la custodia della frutta, cioè abbiamo avuto malattie nella vigna, nel pesco, nell’albicocco, presenze di peronospora molto superiore a quella delle altre annate».

Un anno difficile che si somma ad altri periodi complicati. «L’agricoltore è una persona forte – conferma Pagliarani -, non è che si lascia abbattere da un periodo solo di crisi, ma quando parliamo di eventi catastrofali che aumentano di intensità negli ultimi anni, è complicato. Dobbiamo diventare più dinamici e fluidi, dobbiamo creare le caratteristiche per restare nel territorio. La prima causa di dissesto idrogeologico è che le aziende agricole abbandonano le aree interne e chiudono senza coltivare la terra. Dobbiamo capire nel futuro cosa è davvero importante e su cosa bisogna investire per la salvaguardia dell’agricoltore, ma anche del territorio, perchè un’azienda agricola crea lavoro, residenza, comunità, senza la quale le persone abbandonerebbero i comuni più interni».

Come uscire dalla crisi? «Prima di tutto far capire alla stragrande maggioranza della popolazione – riprende il vice presidente di Cia Romagna – che se si parla di agricoltura si parla anche di ambiente e di territorio. Se riusciamo a metterlo al centro dei discorsi anche politici, siamo già a buon punto. Bisogna continuare a investire in ricerca e formazione del personale che sappia cosa fare per la salvaguardia del territorio: i bacini, le vasche di raccolta, le briglie, la raccolta delle acque, le bonifiche dei nostri terreni, il continuo miglioramento di sostanza organica che trattenga sempre di più l’acqua. Questa salvaguardia deve partire dalle aree appenniniche e montane fino ad arrivare alle aree di pianura. E poi pensare alla gestione del rischio, lavorare con strumenti ad hoc per gli agricoltori per questi eventi catastrofali, come anche grandine e gelate. E infine sulla custodia del territorio che passa per prima cosa da un reddito giusto degli agricoltori, perchè senza l’agricoltore il territorio si degrada».

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